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Né pesce, né ucello

19/09/2017
Da tempo ormai la gente delle Alpi ha fatto l’abitudine ai volti estranei. E’ inutile fare una distinzione fra popolazione locale e ospiti. C’è bisogno di nuove alleanze per garantire i servizi di interesse generale e la coesione sociale.
Una buona vita: nelle città come Annecy/F i confini tra residenti ed ospiti si confondono. © Antoine Berger
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Una buona vita: nelle città come Annecy/F i confini tra residenti ed ospiti si confondono. © Antoine Berger

La storia recente delle Alpi è strettamente legata alla storia del turismo nel suo complesso. Da quando il «Grand Tour» portava la nobiltà inglese ad attraversare l’Europa, e quindi anche le Alpi, alla scoperta di paesaggi e luoghi da vedere, queste ultime sono divenute una delle prime destinazioni del turismo ricreativo. E lo sono rimaste fino ad oggi. Gli abitanti delle Alpi quindi hanno avuto abbastanza tempo per abituarsi alla presenza di stranieri, di amanti della natura e dei paesaggi e di visitatori in genere, i cui valori e le cui usanze differivano anche sensibilmente dai propri. Ma due secoli dopo, a che punto è la distinzione fra turisti e popolazione locale nelle Alpi? E quali sono i rapporti fra questi gruppi di popolazione? Si tratta di una domanda difficile, perché il fenomeno del turismo è molto complesso, così come il suo impatto sociale.
Nel frattempo i modi di essere turisti nelle Alpi sono talmente tanti da rendere ormai impossibile una collocazione semplice e uniforme di questa attività. A differenza dell’epoca dei primi viaggiatori, gli attuali turisti rappresentano gruppi di persone molto diversi: escursionisti e arrampicatori occasionali, sciatori esperti e principianti, ospiti fissi e ospiti occasionali provenienti dall’altra parte del mondo – il cui rapporto con le Alpi è spesso molto diverso. A questi si aggiungono gli abitanti delle città limitrofe che, di tanto in tanto, vanno in montagna per passarvi la giornata. E poi ci sono anche i nuovi abitanti stagionali, talvolta anziani, che abitano diversi luoghi a seconda della stagione. La grande varietà di turisti ed escursionisti è ormai tale da impedire la definizione di un profilo tipico, sia esso basato sulle caratteristiche socio-economiche o fondato sulle motivazioni e sull’impegno.

La piccola Londra nelle Alpi
Non solo i turisti, ma anche gli stessi abitanti sono diversi gli uni dagli altri. La popolazione alpina è da sempre molto stratificata e interessata in vario modo alla presenza di turisti e alla disponibilità delle risorse che ne derivano. E’ evidente tuttavia che una parte crescente di abitanti delle Alpi dipende ormai dall’immagine del turismo o dall’economia associata al turismo nelle Alpi. In alcune vallate e luoghi il turismo è di gran lunga il settore economico più importante. In molti comuni alpini si sono insediati nuovi abitanti, che pure continuano a lavorare nelle grandi aree metropolitane ai margini delle Alpi: Monaco di Baviera, Vienna, Milano, Torino, Ginevra, Losanna o ancor più lontano. Centinaia di inglesi, ad esempio, si sono trasferiti a Verbier in Svizzera e a Chamonix in Francia, ma a causa del telelavoro e del pendolarismo settimanale continuano a rimanere «Londinesi». Questi nuovi abitanti non sono turisti nell’accezione classica del termine, ma hanno scelto le Alpi come residenza per approfitare dell’ambiente turistico.

La tradizionale distinzione fra turisti e popolazione locale, che è spesso al centro del dibattito pubblico, non funziona più. Perciò la sfida sociale e culturale che gli abitanti delle Alpi sono oggi chiamati ad affrontare è questa: sono in grado di resistere o meno allo sfaldarsi delle strutture sociali tradizionali e all’estrema individualizzazione di valori e usanze? Quale può essere il contributo del turismo o che cosa implica la mancanza di tale contributo? Sia che si tratti di locali, nuovi residenti o ospiti in transito, come possono formare nuove comunità forti e alleanze, soprattutto in prospettiva di obiettivi quali la protezione del paesaggio, la vita associativa e la garanzia dei servizi di interesse generale? Oggi tutto ciò è ancora garantito nelle Alpi. Ma il futuro delle società locali nelle Alpi dipende in grande misura dalla capacità di tutti di intrecciare e curare nuovi legami sociali fra tutti gli abitanti – sia la popolazione locale che i nuovi arrivati, i turisti mordi e fuggi e i turisti con permanenze prolungate – e di impegnarsi insieme per il loro ambiente.

Bernard Debarbieux, Università di Ginevra/CH

Da destinazione a spazio di vita

L’Alto Adige si sta confrontando con l’impatto interno del processo di branding. In passato il marchio era riferito in primo luogo al turismo e all’agricoltura. Il branding attuale invece ha messo in primo piano una visione: rafforzare l’Alto Adige come spazio di vita. I responsabili del «marchio Alto Adige» puntano a vivere ed offrire agli ospiti una «simbiosi ricca di contrasti fra alpino e mediterraneo, fra spontaneità e affidabilità, fra natura e cultura». Tutto ciò è retto dalla convinzione che l’offerta per gli ospiti e i clienti possa essere credibile solo se è in perfetta sintonia con ciò che vive ed ama anche la popolazione locale, come sostiene Thomas Aichner, responsabile comunicazione della IDM Alto Adige. «Il processo strategico ha certamente contribuito alla coesione tra questi due gruppi.»

Andreas Riedl, direttore della CIPRA Alto Adige, accoglie con favore gli sforzi volti ad abbandonare una valorizzazione puramente turistica della destinazione e a promuovere un approccio più olistico allo spazio di vita. «Tuttavia», spiega Riedl, «qui, nello ‹spazio vitale più ambito d’Europa›, i desiderata e la realtà continuano a scontrarsi duramente, come mostrano gli esempi del massiccio impiego di pesticidi nella frutticoltura o l’impatto negativo sul territorio della sempre più forte pressione turistica.»

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