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La Convenzione delle Alpiserve a chi la usa
07/02/2011
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Barbara Wülser
Austria e Svizzera: così vicini, così lontani - Essendo due Stati situati al centro delle Alpi, Svizzera e Austria hanno presupposti analoghi. Si potrebbe quindi pensare che abbiano un analogo interesse a una politica alpina comune. Niente di più sbagliato. Mentre l’Austria applica uno dopo l’altro i Protocolli della Convenzione delle Alpi, in Svizzera per il momento della ratifica non se ne parla. Da cosa dipende questo atteggiamento così diverso?
Oltre la metà del territorio austriaco e svizzero è situato nelle Alpi, rispettivamente il 65 e il 60%. Insieme i due paesi occupano il 42% dell’arco alpino. Un quarto della popolazione svizzera, cioè due milioni di persone, vive nelle Alpi. In Austria, gli abitanti delle Alpi sono circa quattro milioni, addirittura la metà della popolazione nazionale. Nei due paesi la gente si riconosce nella propria identità alpina, non solo nelle Alpi, ma anche nelle zone confinanti.
In entrambi i paesi, soprattutto in tema di agricoltura di montagna, politica regionale o turismo, la politica è fortemente segnata dalla collocazione in aree montane. Il Brennero e il Gottardo, due degli assi di transito più frequentati delle Alpi, si trovano in Svizzera e Austria e anche l’energia idroelettrica riveste un ruolo importante sia da una parte che dall’altra. Tuttavia, a tutti questi aspetti comuni si contrappone unadifferenza significativa: l’approccio alla Convenzione delleAlpi non potrebbe essere più antitetico. È vero che è diverso in tutti i paesi alpini, ma tra la Svizzera e l’Austria le differenze sono particolarmente evidenti.
Nel febbraio 1994, l’Austria è stato il primo contraente a ratificare la Convenzione quadro mentre la Svizzera fungeva da fanalino di coda insieme all’Italia, rispettivamente nel 1998 e 1999. Nel 2002 il Parlamento austriaco, con voto unanime, ha ratificato in una sola volta tutti i Protocolli di attuazione mentre l’Italia e la Svizzera sono ancora oggi le uniche Parti contraenti a non averne ratificato nemmeno uno. Nel settembre 2010, il Consiglio nazionale svizzero ha nuovamente deciso di non avviare nemmeno un dibattito sull’eventuale ratifica di almeno tre Protocolli (vedi riquadro). Resta la domanda: In materia di Convenzione delle Alpi, qual è l’«eccezione», la Svizzera o l’Austria? O meglio, perché la Convenzione delle Alpi ha tanto successo in Austria?
Un esemplare cultura del dibattito
La risposta sta nella «via austriaca». Così gli stessi austriaci definiscono il loro approccio alla Convenzione delle Alpi. Il paese è un’«eccezione» in quanto la Convenzione delle Alpi è stata ampiamente discussa sin dall’inizio, racconta Peter Hasslacher, Presidente della CIPRA Austria e uomo della prima ora per la Convenzione. Durante tutto il processo hanno avuto luogo uno scambio vivace e un forte interesse politico. «Sono stati lanciati dibattiti su tutti i temi affrontati». Ministeri, enti territoriali, esponenti economici, operatori turistici, società civile - tutti sono ed erano coinvolti nel cosiddetto Comitato nazionale della Convenzione delle Alpi. Altrove ci sono stati imitatori di questo comitato, ma finora è attivo solo quello francese.
Il forte sostegno interno ha consentito all’Austria di apparire all’esterno con un’immagine unitaria. Il paese ha riconosciuto che la Convenzione delle Alpi può diventare un importante strumento di risoluzione dei problemi emergenti nello spazio alpino. Tutti d’accordo quindi: occorreva vietare nuovi assi di transito transalpini e introdurre l’obbligo di autorizzazione per i progetti stradali con effetti transfrontalieri. Il Protocollo Trasporti è stato fondamentale per l’Austria e gli altri sono stati sottoscritti solo dopo che questi due punti erano stati accettati.
Il dibattito, in atto da dieci anni, sui contenuti dei Protocolli, secondo Hasslacher ha cambiato la percezione delle Alpi nella pubblica opinione austriaca. I temi alpini hanno incontrato un forte interesse in questo periodo, non da ultimo grazie al lavoro di pubbliche relazioni della CIPRA Austria che, fondata nel 1975, dal 1994 gestisce un ufficio che si occupa della Convenzione delle Alpi, prima a Vienna poi a Innsbruck. Tramite uno sportello di informazione giuridica, la CIPRA contribuisce ad aumentare il grado di accettazione della Convenzione delle Alpi, contrastando l’immagine di un trattato che dà un peso eccessivo alla protezione a scapito di altri aspetti.
L’«eccezione svizzera» ha effetti oltre confine
Che sia chiaro: l’Austria non è un’«eccezione» in tema di Convenzione delle Alpi, ma ha colto il momento favorevole, sfruttando la Convenzione delle Alpi. Perché le altre Parti contraenti non l’hanno seguita o lo hanno fatto con scarso entusiasmo?
La situazione di partenza dell’«eccezione svizzera», malgrado tutte le analogie geografiche e tematiche, è completamente diversa dall’Austria. La storia della «nazione fondata sulla volontà», caratterizzata dal 1848 da quattro regioni e culture linguistiche, è segnata dalla paura dell’eteronomia. Dalle due guerre mondiali si è tenuta fuori, l’adesione all’ONU è stata approvata mediante votazione solo nel 2002 al secondo tentativo e l’ingresso nell’UE o nella NATO sono ancora un tabù. La Convenzione delle Alpi è stata percepita fin dall’inizio come uno strumento top down, al quale gli svizzeri, con la loro marcata concezione federalistica, reagiscono con estrema sensibilità. «Appellandosi all’eccezione si raggiungono le persone più facilmente», sostiene Mario Broggi, ex Presidente della CIPRA Internazionale. Questo modo di pensare però non ha prospettive. «La globalizzazione esige altre risposte - altrimenti si finisce su un binario morto».
Il No della Confederazione ai Protocolli di attuazione ha effetti sugli altri partner. «Da più parti si odono critiche», constata Peter Hasslacher, secondo il quale nelle valli al confine tra Svizzera e Austria la Convenzione si è indebolita. «La gente suppone erroneamente che gli Svizzeri godano di rendite di posizione».
Il No della Svizzera è dunque l’inizio della fine della Convenzione delle Alpi? Hasslacher rifiuta di crederci. Non ancora. Ritiene che al momento non ci siano strumenti migliori e che la Convenzione delle Alpi sia comunque il punto di riferimento per una politica alpina coerente, ma «se mancano la Svizzera e l’Italia che insieme detengono il 40% del territorio della Convenzione delle Alpi, il processo è già fallito». Hasslacher spera che tra qualche anno la Svizzera riprenda il processo di ratifica e nel frattempo attende di vedere cosa questa farà nei due anni a venire in cui assumerà la Presidenza.
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Il governo svizzero ribadiscela propria volontà a collaborare
Poco dopo che il Parlamento ha respinto i Protocolli di attuazione, la Svizzera assumerà la Presidenza della Convenzione delle Alpi per i prossimi due anni. La decisione di non ratificare i Protocolli non deve essere letta come un No categorico alla Convenzione delle Alpi, scrive il Ministro dell’Ambiente Doris Leuthard in un comunicato alla CIPRA, affermando che per la Svizzera la cooperazione internazionale nello spazio alpino resta una priorità e che considera la Presidenza come un’opportunità per ribadire l’interesse del Paese a una collaborazione solidale nel territorio alpino, il quale dovrebbe servire da modello per rafforzare la sostenibilità a livello globale.
Per avvicinare la Convenzione delle Alpi agli abitanti delle aree montane, il Ministro dell’Ambiente auspica un sostegno attivo da parte della CIPRA. «L’organizzazione non governativa ha spesso fornito ottimi stimoli per uno sviluppo della Convenzione delle Alpi». Stefan Kunz, Presidente di CIPRA Svizzera, intende andare incontro alle richieste del governo. Ora, la Confederazione Elvetica deve approfittare della Presidenza per dimostrare di essere disposta a dare nuova vita alla Convenzione delle Alpi, ponendo l’accento su tematiche promettenti e realizzando solidi progetti a favore delle Alpi. «Per fare questo occorrono coraggio, volontà politica e adeguate risorse finanziarie».
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Origine: Alpinscena n. 95 (www.cipra.org/it/alpmedia/pubblicazioni/4586)
In entrambi i paesi, soprattutto in tema di agricoltura di montagna, politica regionale o turismo, la politica è fortemente segnata dalla collocazione in aree montane. Il Brennero e il Gottardo, due degli assi di transito più frequentati delle Alpi, si trovano in Svizzera e Austria e anche l’energia idroelettrica riveste un ruolo importante sia da una parte che dall’altra. Tuttavia, a tutti questi aspetti comuni si contrappone unadifferenza significativa: l’approccio alla Convenzione delleAlpi non potrebbe essere più antitetico. È vero che è diverso in tutti i paesi alpini, ma tra la Svizzera e l’Austria le differenze sono particolarmente evidenti.
Nel febbraio 1994, l’Austria è stato il primo contraente a ratificare la Convenzione quadro mentre la Svizzera fungeva da fanalino di coda insieme all’Italia, rispettivamente nel 1998 e 1999. Nel 2002 il Parlamento austriaco, con voto unanime, ha ratificato in una sola volta tutti i Protocolli di attuazione mentre l’Italia e la Svizzera sono ancora oggi le uniche Parti contraenti a non averne ratificato nemmeno uno. Nel settembre 2010, il Consiglio nazionale svizzero ha nuovamente deciso di non avviare nemmeno un dibattito sull’eventuale ratifica di almeno tre Protocolli (vedi riquadro). Resta la domanda: In materia di Convenzione delle Alpi, qual è l’«eccezione», la Svizzera o l’Austria? O meglio, perché la Convenzione delle Alpi ha tanto successo in Austria?
Un esemplare cultura del dibattito
La risposta sta nella «via austriaca». Così gli stessi austriaci definiscono il loro approccio alla Convenzione delle Alpi. Il paese è un’«eccezione» in quanto la Convenzione delle Alpi è stata ampiamente discussa sin dall’inizio, racconta Peter Hasslacher, Presidente della CIPRA Austria e uomo della prima ora per la Convenzione. Durante tutto il processo hanno avuto luogo uno scambio vivace e un forte interesse politico. «Sono stati lanciati dibattiti su tutti i temi affrontati». Ministeri, enti territoriali, esponenti economici, operatori turistici, società civile - tutti sono ed erano coinvolti nel cosiddetto Comitato nazionale della Convenzione delle Alpi. Altrove ci sono stati imitatori di questo comitato, ma finora è attivo solo quello francese.
Il forte sostegno interno ha consentito all’Austria di apparire all’esterno con un’immagine unitaria. Il paese ha riconosciuto che la Convenzione delle Alpi può diventare un importante strumento di risoluzione dei problemi emergenti nello spazio alpino. Tutti d’accordo quindi: occorreva vietare nuovi assi di transito transalpini e introdurre l’obbligo di autorizzazione per i progetti stradali con effetti transfrontalieri. Il Protocollo Trasporti è stato fondamentale per l’Austria e gli altri sono stati sottoscritti solo dopo che questi due punti erano stati accettati.
Il dibattito, in atto da dieci anni, sui contenuti dei Protocolli, secondo Hasslacher ha cambiato la percezione delle Alpi nella pubblica opinione austriaca. I temi alpini hanno incontrato un forte interesse in questo periodo, non da ultimo grazie al lavoro di pubbliche relazioni della CIPRA Austria che, fondata nel 1975, dal 1994 gestisce un ufficio che si occupa della Convenzione delle Alpi, prima a Vienna poi a Innsbruck. Tramite uno sportello di informazione giuridica, la CIPRA contribuisce ad aumentare il grado di accettazione della Convenzione delle Alpi, contrastando l’immagine di un trattato che dà un peso eccessivo alla protezione a scapito di altri aspetti.
L’«eccezione svizzera» ha effetti oltre confine
Che sia chiaro: l’Austria non è un’«eccezione» in tema di Convenzione delle Alpi, ma ha colto il momento favorevole, sfruttando la Convenzione delle Alpi. Perché le altre Parti contraenti non l’hanno seguita o lo hanno fatto con scarso entusiasmo?
La situazione di partenza dell’«eccezione svizzera», malgrado tutte le analogie geografiche e tematiche, è completamente diversa dall’Austria. La storia della «nazione fondata sulla volontà», caratterizzata dal 1848 da quattro regioni e culture linguistiche, è segnata dalla paura dell’eteronomia. Dalle due guerre mondiali si è tenuta fuori, l’adesione all’ONU è stata approvata mediante votazione solo nel 2002 al secondo tentativo e l’ingresso nell’UE o nella NATO sono ancora un tabù. La Convenzione delle Alpi è stata percepita fin dall’inizio come uno strumento top down, al quale gli svizzeri, con la loro marcata concezione federalistica, reagiscono con estrema sensibilità. «Appellandosi all’eccezione si raggiungono le persone più facilmente», sostiene Mario Broggi, ex Presidente della CIPRA Internazionale. Questo modo di pensare però non ha prospettive. «La globalizzazione esige altre risposte - altrimenti si finisce su un binario morto».
Il No della Confederazione ai Protocolli di attuazione ha effetti sugli altri partner. «Da più parti si odono critiche», constata Peter Hasslacher, secondo il quale nelle valli al confine tra Svizzera e Austria la Convenzione si è indebolita. «La gente suppone erroneamente che gli Svizzeri godano di rendite di posizione».
Il No della Svizzera è dunque l’inizio della fine della Convenzione delle Alpi? Hasslacher rifiuta di crederci. Non ancora. Ritiene che al momento non ci siano strumenti migliori e che la Convenzione delle Alpi sia comunque il punto di riferimento per una politica alpina coerente, ma «se mancano la Svizzera e l’Italia che insieme detengono il 40% del territorio della Convenzione delle Alpi, il processo è già fallito». Hasslacher spera che tra qualche anno la Svizzera riprenda il processo di ratifica e nel frattempo attende di vedere cosa questa farà nei due anni a venire in cui assumerà la Presidenza.
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Il governo svizzero ribadiscela propria volontà a collaborare
Poco dopo che il Parlamento ha respinto i Protocolli di attuazione, la Svizzera assumerà la Presidenza della Convenzione delle Alpi per i prossimi due anni. La decisione di non ratificare i Protocolli non deve essere letta come un No categorico alla Convenzione delle Alpi, scrive il Ministro dell’Ambiente Doris Leuthard in un comunicato alla CIPRA, affermando che per la Svizzera la cooperazione internazionale nello spazio alpino resta una priorità e che considera la Presidenza come un’opportunità per ribadire l’interesse del Paese a una collaborazione solidale nel territorio alpino, il quale dovrebbe servire da modello per rafforzare la sostenibilità a livello globale.
Per avvicinare la Convenzione delle Alpi agli abitanti delle aree montane, il Ministro dell’Ambiente auspica un sostegno attivo da parte della CIPRA. «L’organizzazione non governativa ha spesso fornito ottimi stimoli per uno sviluppo della Convenzione delle Alpi». Stefan Kunz, Presidente di CIPRA Svizzera, intende andare incontro alle richieste del governo. Ora, la Confederazione Elvetica deve approfittare della Presidenza per dimostrare di essere disposta a dare nuova vita alla Convenzione delle Alpi, ponendo l’accento su tematiche promettenti e realizzando solidi progetti a favore delle Alpi. «Per fare questo occorrono coraggio, volontà politica e adeguate risorse finanziarie».
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Origine: Alpinscena n. 95 (www.cipra.org/it/alpmedia/pubblicazioni/4586)