Notizie
Appagamento, sussistenza e qualità della vita sono possibili senza crescita? Crescita: un modello ormai consumato
08/06/2010
/
Jürg Minsch
Il mondo continua a volere sempre più e sempre meglio, purché il benessere continui a crescere. Nessuno si chiede però quanto questo benessere costi – finché un giorno non sarà troppo tardi e il sistema non crollerà. Un assaggio ce lo ha dato la crisi economica. Alcune zone alpine appartengono alla categoria dei perdenti, ma alla fine le Alpi nel loro complesso potrebbero risultare vincenti, se sapranno accettare la sfida.
Image caption:
Almeno nella nostra cultura, grande importanza viene attribuita alla ricerca di un benessere crescente. Forse fa parte della natura umana. Fatto sta che da ambizione personale si è trasformata sempre più in un postulato politico: lo Stato moderno si è assunto l'obbligo di provvedere alla crescita della prosperità. Un desiderio individuale è diventato di fatto un diritto.
Dal 1950 la crescita è ormai un obiettivo fondamentale della politica economica, il prodotto interno lordo un numero magico. A buona ragione. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, si doveva sfuggire all’economia della penuria e riportare la pace in Europa e lo si è fatto – come del resto ancora oggi – seguendo un modello di benessere che sopporta un crescente aggravio di natura ecologica, soprattutto su scala globale, e i conseguenti problemi sociali, politici ed economici. In effetti, la ricchezza del mondo industrializzato si fonda sul basso costo della natura e sull’impotenza e la capacità di sopportazione del cosiddetto terzo mondo.
Un aspetto particolarmente problematico di questo modello di benessere consiste concretamente nella «politica del basso costo delle risorse fondamentali». La ricetta è la seguente: crescita economica grazie alla riduzione del costo dei fattori di produzione. Quindi lo Stato moderno fa di tutto per garantire un utilizzo il più libero possibile della natura, in termini di energia, materie prime, smaltimento e mobilità a basso costo, urbanizzazione tollerante e grandi rischi tecnologici.
Gli strumenti per mettere in atto questa politica sono molteplici. Riduzione dei costi diretta o indiretta, come esenzioni e agevolazioni fiscali, sovvenzioni o limitazioni della responsabilità, sono solo la punta dell’iceberg. Gli effetti negativi, come la distruzione dell’ambiente o le ingiustizie sociali, vengono semplicemente ignorati mentre la diplomazia e sempre più spesso anche gli interventi militari si mettono al servizio dell’accesso a risorse a basso prezzo.
Queste pratiche, oltre a influire direttamente sulla crescita, esercitano effetti protezionistici, in quanto riducono i costi della produzione locale rispetto ai paesi in via di sviluppo. A sottili, ma molto efficaci forme di protezionismo moderno si affiancano, come sempre e in tempi di crisi come quelli odierni ancor di più, rigide manovre di isolamento, quali restrizioni alle importazioni, dazi, sussidi all'export o garanzie d'investimento e dei rischi d'esportazione sovvenzionati.
Democrazia ed economia di mercato sulla difensiva
Non stupisce dunque che i rischi ecologici e le disparità economiche esistenti nel contesto globale siano in costante incremento, malgrado le buone intenzioni delle misure correttive o di compensazione, come la politica ambientale, la politica dello sviluppo o la politica sociale. Siamo alle strette sul nostro pianeta!
Allora si pone la domanda: tutti questi problemi di carenza si possono risolvere in modo pacifico e costruttivo o scateneranno sempre più conflitti?
Proprio nel momento in cui alla democrazia e all’economia di mercato vengono richiesti meccanismi di innovazione e soluzione di problemi, queste si pongono invece sulla difensiva. Il modello democratico di economia di mercato viene sfidato dal modello autoritario, come sta facendo tra l’altro la Cina. Contemporaneamente, secondo recenti sondaggi, la democrazia e le sue istituzioni stanno perdendo credibilità e consenso tra la popolazione. Lo stesso vale per l'economia di mercato di fronte alle distorsioni dei mercati finanziari e alla crisi economica che hanno scatenato. Questo è in breve il nostro attuale modello di benessere e di crescita. Non c’è dubbio sul fatto che una revisione sia assolutamente necessaria.
Quali opportunità per le Alpi?
In che modo le Alpi sono colpite e messe alla prova dal problema della crescita? Evidentemente non esiste una risposta semplice. Occorre differenziare. Indubbiamente, alcune località e regioni delle Alpi che in passato sono state avvantaggiate dalla crescita tradizionale, oggi soffrono le conseguenze di questa crisi, e con esse soprattutto quelle regioni periferiche che già in passato sono state vittime di quella crescita. In quanto ecosistemi sensibili, le Alpi sono complessivamente penalizzate dalla spirale della crescita e particolarmente colpite dalle trasformazioni ecologiche, con le relative conseguenze per la loro economia e la loro vita sociale.
Si manifestano chiaramente due aspetti: in primo luogo non esiste un percorso ideale per la felicità nelle Alpi nel senso di appagamento, sussistenza e qualità della vita e, in secondo luogo, non sono sufficienti piccole correzioni e modifiche del presente. Occorre un profondo cambio di orientamento. Proprio a causa della loro topografia, dei vasti spazi naturali e delle limitate potenzialità, le Alpi si offrono come regione modello per nuovi modelli di vita. Ma la crisi saprà essere sfruttata come occasione di cambiamento?
Dal 1950 la crescita è ormai un obiettivo fondamentale della politica economica, il prodotto interno lordo un numero magico. A buona ragione. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, si doveva sfuggire all’economia della penuria e riportare la pace in Europa e lo si è fatto – come del resto ancora oggi – seguendo un modello di benessere che sopporta un crescente aggravio di natura ecologica, soprattutto su scala globale, e i conseguenti problemi sociali, politici ed economici. In effetti, la ricchezza del mondo industrializzato si fonda sul basso costo della natura e sull’impotenza e la capacità di sopportazione del cosiddetto terzo mondo.
Un aspetto particolarmente problematico di questo modello di benessere consiste concretamente nella «politica del basso costo delle risorse fondamentali». La ricetta è la seguente: crescita economica grazie alla riduzione del costo dei fattori di produzione. Quindi lo Stato moderno fa di tutto per garantire un utilizzo il più libero possibile della natura, in termini di energia, materie prime, smaltimento e mobilità a basso costo, urbanizzazione tollerante e grandi rischi tecnologici.
Gli strumenti per mettere in atto questa politica sono molteplici. Riduzione dei costi diretta o indiretta, come esenzioni e agevolazioni fiscali, sovvenzioni o limitazioni della responsabilità, sono solo la punta dell’iceberg. Gli effetti negativi, come la distruzione dell’ambiente o le ingiustizie sociali, vengono semplicemente ignorati mentre la diplomazia e sempre più spesso anche gli interventi militari si mettono al servizio dell’accesso a risorse a basso prezzo.
Queste pratiche, oltre a influire direttamente sulla crescita, esercitano effetti protezionistici, in quanto riducono i costi della produzione locale rispetto ai paesi in via di sviluppo. A sottili, ma molto efficaci forme di protezionismo moderno si affiancano, come sempre e in tempi di crisi come quelli odierni ancor di più, rigide manovre di isolamento, quali restrizioni alle importazioni, dazi, sussidi all'export o garanzie d'investimento e dei rischi d'esportazione sovvenzionati.
Democrazia ed economia di mercato sulla difensiva
Non stupisce dunque che i rischi ecologici e le disparità economiche esistenti nel contesto globale siano in costante incremento, malgrado le buone intenzioni delle misure correttive o di compensazione, come la politica ambientale, la politica dello sviluppo o la politica sociale. Siamo alle strette sul nostro pianeta!
Allora si pone la domanda: tutti questi problemi di carenza si possono risolvere in modo pacifico e costruttivo o scateneranno sempre più conflitti?
Proprio nel momento in cui alla democrazia e all’economia di mercato vengono richiesti meccanismi di innovazione e soluzione di problemi, queste si pongono invece sulla difensiva. Il modello democratico di economia di mercato viene sfidato dal modello autoritario, come sta facendo tra l’altro la Cina. Contemporaneamente, secondo recenti sondaggi, la democrazia e le sue istituzioni stanno perdendo credibilità e consenso tra la popolazione. Lo stesso vale per l'economia di mercato di fronte alle distorsioni dei mercati finanziari e alla crisi economica che hanno scatenato. Questo è in breve il nostro attuale modello di benessere e di crescita. Non c’è dubbio sul fatto che una revisione sia assolutamente necessaria.
Quali opportunità per le Alpi?
In che modo le Alpi sono colpite e messe alla prova dal problema della crescita? Evidentemente non esiste una risposta semplice. Occorre differenziare. Indubbiamente, alcune località e regioni delle Alpi che in passato sono state avvantaggiate dalla crescita tradizionale, oggi soffrono le conseguenze di questa crisi, e con esse soprattutto quelle regioni periferiche che già in passato sono state vittime di quella crescita. In quanto ecosistemi sensibili, le Alpi sono complessivamente penalizzate dalla spirale della crescita e particolarmente colpite dalle trasformazioni ecologiche, con le relative conseguenze per la loro economia e la loro vita sociale.
Si manifestano chiaramente due aspetti: in primo luogo non esiste un percorso ideale per la felicità nelle Alpi nel senso di appagamento, sussistenza e qualità della vita e, in secondo luogo, non sono sufficienti piccole correzioni e modifiche del presente. Occorre un profondo cambio di orientamento. Proprio a causa della loro topografia, dei vasti spazi naturali e delle limitate potenzialità, le Alpi si offrono come regione modello per nuovi modelli di vita. Ma la crisi saprà essere sfruttata come occasione di cambiamento?