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Requisitoria a favore dell’ape selvatica

20/03/2020 / Monika Gstöhl
Quando si parla di api, quasi tutti pensano in primo luogo al miele. Nei paesi alpini, però, il mondo delle api è ben più di un dolce nettare da spalmare sul pane.
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Appartiene alla famiglia delle api: il bombus lucorum. (c) Danilo Bevk

I variopinti e profumati prati alpini, gli alberi pieni di dolci frutti, verdure quali la zucca, il cavolfiore o i ravanelli esisterebbero forse senza i nostri diligenti impollinatori, in primo luogo le api? Senza di loro il nostro mondo e la nostra alimentazione sarebbero meno vari e più monotoni. Le api e altri insetti impollinatori conservano e favoriscono la diversità delle piante selvatiche e coltivate. In questo senso rivestono un ruolo chiave per la biodiversità, assicurano la nostra alimentazione e generano valori monetari di un certo rilievo. Le api selvatiche hanno un ruolo importante quanto quello dell’ape comune. Le prime api vissero già 120 milioni di anni fa, insieme ai dinosauri del cretaceo. Quando le piante fanerogame subirono un primo grande sviluppo, un ramo delle spiciforme dell’epoca si specializzò nella raccolta del polline come fonte proteica. L’impollinazione da parte delle api e di altri insetti favorì quindi lo sviluppo delle fanerogame e viceversa. A livello scientifico, quando un gruppo non riesce a svilupparsi senza l’altro si parla di co-evoluzione. Durante l’ultima glaciazione, diverse sottospecie della «Apis mellifera» occidentale si rifugiarono nel Mediterraneo. Da qui le specie si diffusero di nuovo dopo la glaciazione. Dall’Europa sud-occidentale, la «Apis mellifera mellifera» dalla Spagna e dalla Francia penetrò a nord delle Alpi, fino a giungere nel sud della Scandinavia. Da sudest la «Apis mellifera carnica» si insediò nei territori fino alla catena principale delle Alpi, mentre l’ape italiana «Apis mellifera ligustica», arrivando da sud, conquistò le regioni fino alle propaggini meridionali delle Alpi. Oggi, nelle nostre regioni, il genere apis esiste solo come specie allevata.

Non tutte le api vivono in uno stato sociale

Una colonia di cosiddette api nere tedesche o api nere europee conta fino a 50.000 individui, che vivono insieme in uno spazio piccolissimo per diversi anni. I compiti sono perfettamente suddivisi: ci sono api guardiane, pulitrici, nutrici, bottinatrici e fuchi, cioè maschi addetti alla riproduzione. L’ape regina da sola non è nemmeno in grado di sopravvivere. Una colonia è un esempio di eccellenza di organizzazione sociale ed efficienza; ma a causa di parassiti, patologie e condizioni meteorologiche avverse può subire un crollo totale, che significa la fine della produzione di miele e dell’impollinazione.Completamente diversa è la situazione delle api selvatiche endemiche: la regina della famiglia di bombi, ad esempio, è in grado di fondare da sola la sua colonia, che dura un solo anno; quando le sue prime figlie bottinatrici si involano, la regina passa il resto della vita nel nido. Anche altre specie di api selvatiche della regione alpina, fra cui diversi tipi di ape solitaria, conducono una vita sociale più o meno sviluppata. La maggior parte delle circa 700 specie di api selvatiche delle Alpi, però, è destinata ad una vita solitaria. Non producono miele, ma sono efficientissimi impollinatori. Le patologie o i parassiti creano meno danni fra le specie selvatiche endemiche grazie alla loro vita prevalentemente solitaria.

Generalisti versus specialisti

Benché il genere apis sia considerato impollinatore generalista e molte api selvatiche siano invece specialiste, a seconda della regione, del meteo o della forma dei fiori le prestazioni delle api selvatiche sono perlomeno equivalenti se non superiori a quelle dell’ape comune. Diverse specie di fiori vengono impollinate quasi esclusivamente dalle api selvatiche, ad esempio determinate fabacee o leguminose quali l’erba medica; mentre l’ape comune evita l’offerta sovrabbondante di polline dell’al-falfa (rovescia esplosivamente i suoi visita-tori con polline), per la melitta, l’ape taglia-foglie (megachile) o il bombo la pianta non è meno attraente.Le specie selvatiche oligolettiche sono specializzate su determinate forme di fio-ri e raccolgono il polline delle sole specie imparentate, di una determinata famiglia di piante o di diversi generi e talvolta di una sola specie. La dipendenza reciproca quindi può essere notevole, perché non solo le api dipendono dalle «loro» piante, ma anche le piante dai «loro» impollinatori.

Senza api selvatiche non va

Le impollinatrici selvatiche sono in volo tutto l’anno, anche quando l’ape comune non vola ancora o non vola più. Se, ad esempio, la fioritura degli alberi da frutto cade in un periodo avverso dal punto di vista meteorologico, il successo dell’impollinazione e quindi il raccolto dipendono primariamente dalle api selvatiche. Vista la dipendenza da fonti trofiche adatte a distanze adeguate dal luogo di nidificazione, le api selvatiche reagiscono in maniera molto sensibile ai cambiamenti. Questo spiega anche perché aumenta sempre di più il numero di specie nella lista rossa. L’intensificarsi dell’agricoltura, il consumo di suolo, la nostra forma di mobilità e l’impiego di pesticidi distruggono gli habitat delle api selvatiche. Ma le cose possono cambiare. Azioni politiche quali referendum ed inizia-tive popolari stanno nascendo in diversi paesi alpini per la protezione delle api e per la conservazione della biodiversità. Le api selvatiche sono la prova vivente che la biodiversità è una delle principali basi della nostra vita. Per garantire l’impollinazione delle piante selvatiche e coltivate, noi umani dipendiamo da una fauna apistica ricca di individui e di specie.


Fonte e ulteriori informazioni: www.cipra.org/alpinscena

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