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La regina degli insetti

30/03/2020 / Maya Matthias, CIPRA Internazionale
Lavoratrice, solidale, pura: L’ape con la sua colonia è da sempre un modello virtuoso per l’uomo. La sua importanza si rispecchia nella nostra storia, nella lingua e nella cultura, dal neolitico fino ai nostri giorni.
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(c) Danilo Bevk

Un’ape è preferibile a migliaia di zanzare: secondo questa espressione idiomatica francese, qualcosa di utile è meglio di tanta inutilità. E non serve nemmeno a blandire qualcuno, secondo la locuzione in lingua tedesca «spalmargli del miele attorno alla bocca». Se un’iniziativa ha successo contro ogni aspettativa, ecco che «l’accetta è caduta nel miele», come recita un motto sloveno. L’ape diligente e lavoratrice è espressione di utilità, il suo dolce miele promette felicità e ricompensa. Una persona si arrampica sull’albero e introduce una mano nella cavità del tronco, mentre uno sciame di api circonda il ladro di miele. Questa famosa pittura rupestre nell’est della Spagna risale al neolitico, al periodo fra il 10.000 e il 6.000 a.C. E’ una delle più antiche testimonianze del rapporto fra uomo e ape. Nell’Antico Egitto l’ape era considerata un essere divino. Nata, secondo la mitologia egizia, dalle lacrime del Dio sole Ra, l’ape supera i confini fra vita e morte. Nel Medioevo l’infaticabile impegno dell’ape operaia fungeva da modello per la regola monastica. L’alveare rappresentava la comunità cristiana dell’epoca. Le persone credevano che le virginee api raccogliessero la loro progenie sui fiori. Nel Cristianesimo, quindi, l’ape è simbolo di purezza e castità ed è considerata il simbolo della Vergine Maria. Nell’antichità la colonia delle api era considerata un modello politico e fungeva da naturale giustificazione della monarchia. A lungo i ricercatori hanno creduto che fosse un re a governare la colonia. Le operaie erano considerate altruiste, umili e caste. Anche gli esseri umani dovevano quindi ubbidire al monarca e lavorare diligentemente per il bene dello stato. La scoperta dell’ape regina nel XVII secolo distrusse questo ideale di un governo patriarcale. Il fuco era considerato pigro e, ai tempi della rivoluzione francese, divenne il simbolo dell’aristocrazia privilegiata e oziosa. Quando nel 1804 Napoleone Bonaparte incoronò se stesso imperatore, scelse l’ape come simbolo araldico per allontanarsi dal giglio, simbolo dei Borboni detronizzati.

Nel 1912 Waldemar Bonsel pubblicò il romanzo «L’ape Maia e le sue avventure». Nel racconto l’autore combinò l’amore per la natura e la biologia con la teoria dello stato e l’amore per la patria. L’avventurosa ape ritornava al suo alveare, pronta a sacrificarsi, per proteggere la sua colonia dall’incombente attacco dei calabroni. Il libro divenne un bestseller, soprattutto per i soldati della prima guerra mondiale. Nel 1975 l’ape Maia, nella versione di cartone animato di produzione austro-tedesco-giapponese, conquistò le stanze dei bambini e avvicinò grandi e piccini al mondo degli insetti. Nel 2013 il cartone animato venne ripubblicato secondo i crismi dell’epoca, con animazione computerizzata 3D e con api decisamente più magre. Anche nella moderna cultura pop, l’ape è un simbolo. Nel cinema e nella televisione la donna che primeggia in un ambiente sociale porta il nome di ape regina o «Queen B». Rappresenta lo stereotipo della donna privilegiata, bella e amata, che al contempo manipola e vessa – dolce come il miele e pungente.


Fonte e ulteriori informazioni: www.cipra.org/alpinscena


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