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Di chi sono le Alpi (italiane)?

11/10/2019
Le regioni remote offrono molte opportunità per un nuovo inizio. Molti immigrati riportano la vita nei paesi. Ma chi sono queste persone che si stabiliscono nelle zone di montagna?
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Nuove comunità nelle Alpi: il contatto diretto crea comprensione reciproca (c) pixaby

Nei comuni alpini gli immigrati dall’estero rappresentano spesso quote importanti delle popolazioni residenti: molti di loro vivono in piccoli paesi e contribuiscono in modo significativo a contrastare la tendenza demografica dell'invecchiamento e dello spopolamento

Si tratta di uomini e donne, con famiglie e bambini, inseriti in economie montane che, anche grazie a loro, continuano ad esistere, o addirittura si rinnovano e crescono. Tra i principali ambiti di inserimento lavorativo ci sono allevamento e pastorizia transumante, taglio del bosco e carpenteria, edilizia e servizi di cura alla persona, manutenzione di impianti sciistici e trasporti, artigianato e commercio. Qualcuno parla di “professioni etniche”: certo è che i vuoti lasciati dallo spopolamento che ha colpito l’arco alpino negli scorsi decenni oggi sono stati, almeno in parte, riempiti proprio dagli stranieri, che hanno  dimostrato capacitá di adattamento all’ambiente, creativitá, imprenditorialitá.

Solidarietá e innovazione

Non mancano le tensioni, naturalmente. Non è facile accettare, per chi è nato nelle Alpi, che qualcuno venuto da molto lontano abiti le case e recuperi i mestieri che i giovani del posto hanno abbandonato; qualcuno che parla una lingua diversa e che cerca di preservare le proprie origini culturali. Ma questi conflitti vengono spesso mediati attraverso le relazioni faccia a faccia tipiche dei paesi: la comune fatica per “tenere su” un paesaggio culturale che ha bisogno dell’opera umana per esistere. Cosí si rinnova quella solidarietà materiale interpersonale che ha sempre cementato le comunità di montagna, risorsa oggi rara nei contesti urbani. Ad esempio, quando riparano insieme muri o coltivano campi. Ciò mantiene insieme le comunità montane da tempo immemorabile ed è diventato raro nelle città.

La presenza nelle Alpi di quelli che vengo definiti come immigrati economici” non solo favorisce la sopravvivenza di numerose realtà altrimenti condannate ad estinguersi, ma spinge verso la resilienza comunità locali spesso tirate tra gli opposti della museificazione folkloristica ad uso dei turisti e dell'omologazione agli stili di vita di pianura. Oggi sono tanti i casi sparsi per l'arco alpino in cui proprio i nuovi arrivati hanno innescato forme di cambiamento impreviste, occasioni di negoziazione tra tradizioni locali e usi importati: dalla gestione della pastorizia alle forme della socialità quotidiana, dalle tecniche casearie all’educazione nelle piccole scuole di montagna.

Fuga verso la montagna

In anni recenti le Alpi sono divenute destinazione di ulteriori flussi immigratori dall'estero. Si tratta dei richiedenti asilo e protezione internazionale, che si sono trovati a vivere in montagna in conseguenza di politiche di ricollocamento forzoso messe in atto dai governi nazionali o di progetti di accoglienza promossi dalle comunitá locali.

Da una ricerca appena realizzata dal network indipendente «Foreign immigration in the Alps» (ForAlps) emerge la forte rappresentatività delle aree montane nell'ospitalità di migranti “forzati”, con punte che arrivano al 40% del totale, come nel caso italiano. L'arrivo di questi “montanari per forza” è favorito dai “vuoti” che caratterizzano tanti territori montani, in termini innanzitutto di edifici disponibili: alberghi, caserme, colonie, residence, sanatori. Un patrimonio immobiliare da anni inutilizzato, frutto di una “costruzione delle Alpi” legata a cicli passati del turismo, della produzione, della cura.

Nuova vita per i piccoli paesi

Spesso questi immigrati risultano purtroppo posteggiati per mesi in comuni d'alta quota, a volte nelle mani di organizzazioni che speculano sul businness dell'accoglienza. Ma non mancano i casi virtuosi, in cui l'arrivo dei migranti forzati ha rappresentato un fattore di risveglio per il territorio. Grazie a cooperative o ad associazioni serie, e alla sinergia con gli abitanti storici, si sono sviluppati progetti di turismo sostenibile, si sono riattivate economie di prossimità, si è favorito il recupero e la messa in sicurezza del territorio, si sono salvati edifici altrimenti in malora.

L'accoglienza fatta di piccoli numeri e di rapporti sociali diretti mostra dunque come lo straniero, montanaro per scelta o per forza, possa essere fattore di ripensamento complessivo dei rapporti sociali in montagna. Abitanti storici e nuovi arrivati insieme riscoprono  il “fare comunità”, oltre ad innescare nuove forme di economia, frutto dell'ibridazione tra culture e bisogni differenti. Di queste risorse, e non di un ritorno delle frontiere, le Alpi sembrano proprio avere bisogno.

 

Andrea Membretti,  Eurac Research, Bolzano/I
www.foralps.eu
(en)


Fonte e ulteriori informazioni: www.cipra.org/alpinscena

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