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«La generazione che conta»

10/09/2012 / CIPRA Internationale Alpenschutzkommission
Finora l’opinione dei giovani sul tema della qualità della vita è stata poco richiesta. Ragion per cui Lars Keller, geografo dell’Università di Innsbruck, ha cercato di entrare in contatto con giovani di diverse regioni alpine e di affrontare il tema a fondo insieme a loro.
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«Ascoltare davvero quello che i giovani percepiscono e pensano», auspica Lars Keller. © Caroline Begle/CIPRA International
Signor Keller, i giovani come valutano la qualità di vita nelle Alpi?
Per la stragrande maggioranza dei giovani la qualità di vita percepita è alta o molto alta. Questa è già di per se un’indicazione gradita. Se la domanda si concentra sulla qualità di vita personale, il livello percepito è ancor più elevato rispetto a quello della qualità di vita nella regione in generale. In altre parole, i giovani riconoscono che la situazione degli altri potrebbe essere più difficile della propria, il che può essere interpretato anche come espressione indiretta di solidarietà.

Per quali ragioni giudicano elevata la qualità di vita?
Le ragioni sono molteplici, ma c’è il trend che caratterizza anche altre ricerche sulla qualità di vita nelle Alpi, e cioè il fatto che i giovani nel territorio alpino si identificano maggiormente con i valori tradizionali rispetto a quelli fuori dalle Alpi. Appaiono importanti, ad esempio, valori tradizionali quali la famiglia, gli amici, la coesione sociale, il lavoro sul posto o anche la religione. Nell’ambito del nostro progetto «LIFE eQuality?», un gruppo di lavoro, ad esempio, ha scelto il tema del dialetto; anche in questo caso si individua un approccio conservatore. L’identificazione con la propria terra natia, con il territorio circostante, significa molto per i giovani.

Ci sono differenze fra i Paesi o anche con l’Europa?
Fra i giovani dei nostri progetti che provengono da Tirolo, Alto Adige, Baviera e Grigioni, le differenze individuate sono relativamente poche. Quando, adottando un metodo usato nelle scienze sociali, abbiamo chiesto di creare una «cartolina postale della propria terra», quasi tutti, con pochissime eccezioni, hanno disegnato montagne, sole, nuvole e forse una croce sulla vetta e una pista da sci, oppure la propria casa con il giardino. Solo pochi hanno disegnato un globo; questi erano più avanti nella loro percezione di «terra natia». Io mi sento di affermare che i giovani di Berlino disegnano qualcosa di diverso.

Lei si sta occupando già da diversi anni del tema qualità di vita nella Alpi. Che cosa colpisce in particolare?
Balza agli occhi soprattutto che nelle ricerche e nelle indagini ci si rivolge soprattutto agli adulti, fra cui rappresentanti della terza età. Non che questo gruppo non sia importante, ma perché i sondaggi non si rivolgono anche ai giovani? Hanno più anni davanti a loro ed è importante sapere che cosa pensa e da che cosa è mossa questa generazione, che tra cinque o dieci anni prenderà in mano le sorti della loro regione. Qui abbiamo perciò individuato una falla.

Come si spiega questa falla?
E’ una mia ipotesi: probabilmente è più facile e sembra più logico indirizzare il sondaggio agli adulti. I sondaggi, così come vengono gestiti con gli adulti, non funzionano con i giovani. E io aggiungerei anche che nemmeno con gli adulti funzionano bene come vorremmo.

Quindi, come vanno coinvolti i giovani?
In tutti i nostri progetti, fra cui in «LIFE eQuality?» o «LQ4U», ci proponiamo di collaborare con loro più a lungo termine. Oltre a ciò – e questa è una vera innovazione – non facciamo solo ricerca sulla qualità di vita dei giovani, e cioè una ricerca sui giovani condotta da adulti, ma la facciamo insieme a loro. Questo, a nostro avviso, rappresenta un grande valore aggiunto. In questo modo i giovani incrociano temi e domande che sono importanti per loro. Se ne occupano più a fondo e, quando sono loro a interpellare altri giovani, i risultati sono assai diversi rispetto a quando io adulto pongo le domande, che vengono percepite come provenienti da una grande distanza.

Che cosa è importante quando si lavora con i giovani?
Occorre dare loro realmente tempo e spazio per pensare e per la discussione. Questo, infatti, è qualcosa che normalmente manca a scuola. A scuola c’è un orientamento rigido basato su ore, pause o test; il tutto è molto strutturato. Tutto ciò non va messo totalmente in discussione, ma sono molte le cose che restano irraggiungibili. Proprio gli obiettivi ambiziosi di una formazione per lo sviluppo sostenibile, a mio avviso, sono difficili o impossibili da raggiungere con le attuali strutture scolastiche.

Qual è l’importanza dei media digitali nel lavoro con i giovani?
A questo riguardo sono molto combattuto. Nei nostri progetti la loro importanza concerne soprattutto la possibilità per i giovani delle diverse regioni di rimanere in contatto. Ma questi media non dovrebbero essere considerati fini a se stessi. L’importante è il lavoro sui contenuti, e questo lavoro lo si può fare anche con la carta e la matita, oppure con il gesso e la lavagna.

Lei preferirebbe il gesso e la lavagna?
In certe situazioni sì. Per un’organizzazione come la CIPRA o un progetto di ricerca più grande in cui si lavora su grandi distanze, naturalmente c’è bisogno dei media digitali. Nonostante ciò occorre essere cauti e non aspettarsi troppo. E non bisogna credere che i giovani siano automaticamente capaci di farne un uso professionale, solo perché appunto sono giovani. C’è questa parola alata: «digital natives». Ma la nostra esperienza nei progetti suggerisce che talvolta sono proprio i «digital natives» a non essere capaci di strutturare secondo logica un forum. Del resto, uno dei nostri sondaggi indica che per la maggioranza dei giovani Facebook è sì molto importante, ma non necessariamente migliora la loro qualità di vita; anzi, può addirittura peggiorarla a causa della cosiddetta influenza normativa, della pubblicazione non voluta di foto, del mobbing, ecc. I giovani stessi hanno trovato questo risultato molto interessante.

Qual è quindi il miglior modo per ­raggiungere i giovani?
La strada migliore è quella del dialogo. Trovo fondamentale, poi, l’idea di raggiungere i giovani tramite i giovani. Quando sono dei giovani a rivolgersi ad altri giovani, l’effetto è molto più forte rispetto a quello che otterrei io. Ovviamente, anche da adulti si può parlare con i giovani «in modo del tutto normale». I giovani sono relativamente aperti nei confronti di molte cose e, se non ne hanno voglia, te lo dicono con estrema chiarezza. E sono capaci di prendere le loro decisioni.

E’ cambiata la visione che la società ha dei giovani?
La cattiva immagine dei giovani esiste da sempre, e anche oggi non è particolarmente positiva. Completamente a torto, a mio avviso, perché i giovani di oggi sono molto più competenti nella gestione di molte cose. Noi adulti naturalmente li esponiamo a molti influssi che, per fortuna, io in gioventù non ho dovuto vivere.

Come rendere i giovani capaci di futuro?
Io non posso realmente renderli capaci di futuro, posso solo aiutarli a sviluppare determinate competenze che, nella migliore delle ipotesi, li rendono più «attrezzati» per affrontare il futuro. Spesso l’insegnamento scolastico si limita ad allenare la capacità di riprodurre qualcosa che io ho letto o che qualcuno ha detto. Questo non basta per una vita moderna. Noi dobbiamo suggerire ai giovani di occuparsi intensamente e seriamente di contenuti e metodi, di affrontare le tematiche con un approccio multiprospettico e di sintesi. Di non smettere mai di riflettere e di favorire l’intervento attivo, perché senza azione ogni riflessione propedeutica non conduce da nessuna parte. Se è possibile trasmettere loro questo, sicuramente saranno più capaci di futuro rispetto alle generazioni precedenti.

Quale può essere il contributo dei giovani allo sviluppo sostenibile?
A mio avviso, il loro contributo può essere enorme se non addirittura fondamentale. E’ questa la generazione che conterà in futuro. Il loro contributo immediato è quello della partecipazione. La massima partecipazione possibile.

Ci sono molte possibilità di partecipare?
Ci sarebbero. In Austria, ad esempio, l’età minima per votare è di 16 anni. Mi domando se ha senso, se prima non rendiamo i giovani «capaci di votare». D’altro canto, quanti sono gli adulti capaci di votare? Si tratta di un tema difficile, ma ho comunque la sensazione che i giovani vengano lasciati molto impreparati. In questo senso il diritto di voto non rappresenta un grosso guadagno. E di norma i parlamenti dei giovani sono solo dei palcoscenici per esercitarsi su quello che potrebbe essere un vissuto futuro. Ma i giovani non hanno diritti reali e possibilità reali di partecipazione. Inoltre, va detto che i «bambini al potere» non rappresentano certamente una soluzione. Perché molte cose diventano comprensibili solo quando si è in grado di fare ragionamenti più astratti e soprattutto più complessi. Naturalmente esistono 16-18enni che ne sono capaci. Tuttavia occorre dare loro la possibilità di approfondire le tematiche su cui sono chiamati ad esprimersi. E occorre essere giusti nei confronti dei giovani. Si tratta di un grande compito; in questo senso, probabilmente, tutte le organizzazioni devono investire molto di più nel lavoro con i giovani.

Che cosa può fare quindi una ONG come la CIPRA?
Penso che il lavoro con i giovani debba essere intensificato. In ogni caso occorre evitare abusi: guai a coinvolgere i giovani, chiedendo loro di restituire qualcosa di preciso stabilito dall’interlocutore di riferimento, che viene poi “venduto” alla politica. Io parlo di lavoro onesto; ascoltare veramente quello che i giovani percepiscono e pensano, anche perché questo può differire profondamente dalla prospettiva degli adulti. I giovani, peraltro, spesso apprezzano cose completamente diverse di quelle che possiamo immaginare noi, anche cose…

…che forse non rispecchiano esattamente le intenzioni dell’organizzazione.
Sì, esatto. E questo rende tutto ancora più complicato. Nonostante ciò, è molto utile collaborare intensamente con i giovani. E dopo alcuni anni i giovani non saranno più giovani e saranno tra quei pochi adulti che praticano forme di partecipazione forte, ossia i principali attori – tanto con quello che faranno quanto con quello che non faranno - di tutte le organizzazioni ed istituzioni, dello stesso Stato, di tutta l’Europa, del mondo. Anche in questo senso vale proprio la pena investire sui giovani.

Intervista: Caroline Begle, CIPRA Internazionale
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Lars Keller lavora all’Istituto di Geografia dell’Università di Innsbruck/A. Le sue principali ricerche riguardano la didattica della geografia e delle scienze economiche, nonché la ricerca sulla qualità di vita e sulle Alpi. Fra le sue pubblicazioni vi sono alcune ricerche scientifiche e divulgative, una specifica serie di libri di scuola e una rivista di didattica. Dal 2010 dirige fra gli altri i progetti «LIFE eQuality?» e «LQ4U», che si occupano del fenomeno qualità di vita dalla prospettiva dei giovani nell’arco alpino. E’ essenziale soprattutto la collaborazione con i giovani coinvolti nella ricerca sulla tematica comune.
www.uibk.ac.at/geographie (de)
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Origine: Alpinscena n. 97 (www.cipra.org/it/alpmedia/pubblicazioni/5017)