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«Contrastare la tendenza all’autonomizzazione dell’élite politica»

13/07/2012 / CIPRA Internationale Alpenschutzkommission
I processi partecipativi a democrazia diretta possono contribuire a superare il divario che c’è fra élite politica e popolazione. Wilfried Marxer si batte a favore di più democrazia diretta dal livello locale fino a quello internazionale; non ultimo per governare con maggiore efficienza.
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Wilfried Marxer: «È importante che l’élite politica ottenga un feedback dalla popolazione.» © Caroline Begle / CIPRA International
Signor Marxer, la democrazia diretta è la forma statalizzata della parte­cipazione dei cittadini?
Si tratta di una forma giuridicamente formalizzata di partecipazione dei cittadini, analogamente alle elezioni. Altre forme partecipative non sono di norma regolamentate per legge e avvengono in una zona grigia.

Il dibattito sulla governance si è intensificata dagli anni ‘90. In che misura le esperienze di democrazia diretta sono trasferibili ai processi della società civile?
La tematica della governance è molto vasta. Da un lato riguarda le modalità di comunicazione fra gli Stati e i processi decisionali. Gli Stati nazionali funzionano di norma secondo sistemi multilevel con diversi sistemi giuridici; lo Stato nazionale è inserito in uno spazio più ampio. D’altro canto occorre chiedersi come comunicare le decisioni verso l’interno, alla propria popolazione. Questa è una questione complessa che si pone sia a livello degli Stati nazionali che a livello internazionale.
Nell’Unione Europea si parla frequentemente di deficit democratico. Per favorire le espressioni di democrazia diretta è stata introdotta l’Iniziativa dei cittadini europei ECI (European Citizens‘ Initiative, ndr), con l’obiettivo di attivare i cittadini promuovendone la sensibilizzazione per le procedure decisionali e i processi europei. Per eliminare il deficit di democrazia verso l’interno si punta a una maggiore partecipazione dei cittadini sia con procedure istituzionalizzate di democrazia diretta quali iniziative o referendum, sia con processi informali quali tavole rotonde, procedure partecipative, colloqui aperti, politica dell’informazione, ecc.

Si dice che la democrazia è il principio degli spazi piccoli. Processi partecipativi come l’Iniziativa dei cittadini europei funzionano anche su scala più vasta dove mancano il coinvolgimento e una visione d’insieme?
E‘ una visione superata quella che ipotizza un buon funzionamento della democrazia diretta in Svizzera solamente a causa delle dimensioni ridotte del Paese. Anche in Germania le decisioni sui diversi temi potrebbero essere prese analogamente alla Svizzera. Per andare oltre: perché non decidere in Europa in merito a una questione comune? Non c’è ragione per cui questo non dovrebbe essere possibile. In Svizzera su alcune decisioni si esprime l’agricoltore di montagna dei Grigioni e il banchiere di Ginevra, provenienti da ambiti linguistici diversi, da geografie diverse, da professioni diverse. E non è che la situazione in Europa sia molto più complessa. Anche qui abbiamo a che fare con lingue, storie e tradizioni diverse. In realtà, il fatto che le persone di Ginevra, passando per Lugano e Coira si occupano della stessa questione, ha una valenza unificante. Sarebbe interessante vedere la dinamica che si sviluppa in Europa se improvvisamente tutti gli europei discutessero e decidessero contemporaneamente in merito alla stessa questione.

Spesso i risultati dei processi partecipativi rimangono sulla carta e non sono vincolanti. I partecipanti sono frustrati e si allontanano rassegnati.
Se si lanciano processi non vincolanti occorre partire dal presupposto che anche i risultati resteranno non vincolanti. Né sarebbe giusto considerare vincolanti le raccomandazioni espresse da consigli dei cittadini e da processi partecipativi. In definitiva saranno le istituzioni decisionali regolarmente definite a doversi assumere la responsabilità. Nei liberi processi partecipativi non c’è garanzia che gli organi abbiano una composizione democratica e siano rappresentativi della popolazione. E’ possibile che persone particolarmente ricche di iniziativa o persone che hanno più tempo partecipino più frequentemente di altre. I bravi oratori saranno più capaci di mettersi in luce degli altri. E’ auspicabile che gli impulsi nati nell’ambito dei processi partecipativi vengano colti dagli organi competenti e convergano nei processi decisionali e di formazione delle opinioni, fino ad arrivare alle procedure di democrazia diretta.

La partecipazione della società civile è realmente necessaria per integrare le decisioni di democrazia diretta o bastano invece gli strumenti ­esistenti?
I processi di democrazia diretta fra cui le iniziative e i referendum sono dei buoni strumenti contro l’autonomizzazione di un’élite politica. Ma hanno un orizzonte limitato perché sono selettivi e si concentrano sulla legislazione. Altri aspetti quali lo sviluppo territoriale o i trasporti – determinanti ad esempio a livello comunale – non sono generalmente interessati da questi strumenti. Per questa ragione è utile promuovere altri processi partecipativi della cittadinanza, di affiancamento, siano essi cresciuti dal basso o promossi dall’alto. E questo ci riporta al tema della governance: è importante che l’élite politica ottenga un feedback dalla popolazione. In definitiva un’informazione tempestiva e l’accoglimento delle preoccupazioni della popolazione facilitano l’implementazione di un progetto.

Nel XX secolo la democrazia diretta ha vissuto un vero e proprio boom. Ma le questioni e le sfide diventano sempre più complesse. Questo sistema continua ad essere adatto?
Anche se il mondo è complesso, non è per questo che dobbiamo augurarci un governo di meri tecnocrati ed esperti. Noi auspichiamo la democrazia e ciò implica prendere a bordo la popolazione. La politica e le procedure decisionali nel loro complesso non ne risultano più insensate, ma poggiano invece su una base più ampia rispetto al semplice trasferimento del potere decisionale a una commissione di esperti. Probabilmente l’affidamento delle decisioni ai tecnocrati aumenta il rischio di decisione errate.

La partecipazione al voto cala con l’aumentare del numero delle chiamate alle urne. Il popolo è stanco della democrazia?
C’è un gran dibattito in corso e ci si chiede se ciò ha a che fare con la frequenza delle chiamate alle urne. E‘ possibile che la partecipazione al voto relativamente scarsa in Svizzera abbia a che fare con un certo appagamento – anche della democrazia. Conosciamo altri Stati con una democrazia diretta viva come il Liechtenstein, dove la partecipazione al voto è nettamente superiore alla Svizzera. A seconda del tipo di votazione, la partecipazione al voto supera l’80%.

A partire da che percentuale di partecipazione una votazione è rappresentativa?
Non è in gioco la rappresentatività, ma il carattere vincolante, il quale a sua volta dipende dalle regolamentazioni. Un referendum è vincolante per un Parlamento? Che valenza ha la possibilità di ricorso alla Corte costituzionale? E’ meglio un quorum costitutivo o un quorum deliberativo?

A suo modo di vedere un quorum costitutivo ha senso?
No. L’esempio dell’Italia con un quorum costitutivo del 50% può condurre alla situazione assurda che il Presidente del consiglio dell’epoca, Silvio Berlusconi, inviti a non partecipare al referendum, come nel giugno dell’anno scorso. Dal punto di vista democratico ciò è devastante!

Nel Liechtenstein è il Principe ad avere l’ultima parola. Il Liechtenstein non è quindi una democrazia diretta?
Il Liechtenstein ha una struttura costituzionale estremamente complessa; in questo caso si parla anche di Costituzione duale con due organi che gestiscono il potere nello Stato: il Principe e il popolo. Per questa ragione non è un Paese governato con una democrazia diretta, anche per il semplice fatto che c’è questo potere sanzionatorio del Principe che rappresenta il secondo pilastro nello Stato. Nonostante ciò la maggior parte delle decisioni viene presa da organi rappresentativi: dal Landtag in quanto Parlamento e dal Governo come potere esecutivo. Solo in casi eccezionali vengono applicate procedure di democrazia diretta, basate su iniziative popolari e referendum. In questo senso non è uno Stato a democrazia diretta, senza dimenticare che nessun Paese al mondo viene governato attraverso la democrazia diretta.

Come c’era da aspettarsi, nella classifica della qualità della democrazia diretta, la Svizzera si trova al primo posto. La Svizzera è quindi la forma ideale della democrazia diretta?
Si tratta piuttosto di un caso esemplare. Gran parte dei referendum popolari che si svolgono a livello mondiale ha luogo in Svizzera. Ma ci sono anche i critici che argomentano con la partecipazione al voto relativamente bassa in Svizzera e che mettono in discussione la razionalità di determinati referendum, ai limiti dello Stato di diritto.

Secondi nella speciale classifica dei Paesi alpini sono sorprendentemente l’Italia e la Slovenia. L’Italia è un «Lupo travestito da agnello»?
L’Italia ha una democrazia diretta relativamente vivace, pur avendo – come detto innanzi – l’handicap del quorum costitutivo. Inoltre gli strumenti non sono altrettanto vincolanti come in Svizzera.

E‘ altrettanto sorprendente il fatto che la Slovenia, ex Paese comunista, occupa una delle prime posizioni del ranking. Come spiega questo fatto?
Dopo l’esperienza di Repubblica dello Stato comunista di Jugoslavia, la Slovenia ha sviluppato un «riflesso democratico» dopo essere diventata indipendente. Il sistema svizzero era il modello. La qualità della democrazia diretta quindi poggia su basi anticomuniste o antiautoritarie.

In questo ranking, la Francia e l’Austria vengono indicate come «caute». Stanno costruendo o piuttosto smantellando la democrazia diretta?
Non c’è del gran movimento. In Francia non esistono strumenti di democrazia diretta che il popolo possa utilizzare per ottenere delle decisioni vincolanti. Quel che si vede di tanto in tanto sono processi plebiscitari con un Presidente della Repubblica che cerca il sostegno del popolo per garantire e proteggere la sua politica. Ma questo approccio non permette di parlare di processi democratici, in quanto consultazioni del genere esistono anche nelle dittature.
L’Austria ha finora svolto solo due referendum popolari nazionali con carattere vincolante. Il primo riguarda la centrale nucleare di Zwentendorf - peraltro già completata – ed ha avuto esito negativo. Il secondo referendum popolare riguarda l’adesione all’UE. Questo ha a che fare con la cultura politica austriaca: si punta fortemente sugli organi rappresentativi e sullo Stato di diritto e i processi di democrazia diretta non vengono né cercati e favoriti, né accolti con favore.

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Un sostenitore della democrazia diretta
Wilfried Marxer è Direttore e responsabile della ricerca di scienze politiche al Liechtenstein-Institut di Bendern/FL. Fra i maggiori progetti di ricerca del 55enne vanno indicati le analisi sui voti e sui media nel Liechtenstein e sulla comunicazione pubblica. Un altro filone delle sue attività di ricerca è la democrazia diretta. Nel 1998 e nel 1999 Marxer è stato il direttore dell’Accademia estiva «Obiettivo sulle Alpi», organizzata dalla CIPRA insieme all’allora Fachhochschule e odierna università del Liechtenstein.
www.liechtenstein-institut.li (de)

Origine: Alpinscena n. 96 (www.cipra.org/it/alpmedia/pubblicazioni/4960)
archiviato sotto: Società, cultura