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Nuova vita per le aree alpine abbandonate?

07/02/2011 / Christian Baumgartner
Convegno annuale 2010 della CIPRA: le aree periferiche al centro - Le Alpi nel loro complesso non sono un’area marginale, ma all’interno dell’arco alpino troviamo molte zone periferiche, dove gli insediamenti sono sempre più in forse. Quali sono le opportunità e i rischi di queste regioni? La CIPRA ha affrontato la questione in occasione del Convegno annuale di Semmering/A nell’ottobre 2010, promuovendo il dialogo oltre i confini territoriali e tecnici.
Sarà questo il futuro di molte regioni periferiche rurali delle Alpi? Cascina abbandonata nella valle del Lech in Tirolo/A.
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Sarà questo il futuro di molte regioni periferiche rurali delle Alpi? Cascina abbandonata nella valle del Lech in Tirolo/A. © CIPRA
Sgombriamo subito il campo da un malinteso: non parliamo semplicemente di Alpi in senso lato! Quando la CIPRA invita al convegno sui territori periferici (vedi riquadro), non intende con ciò «le Alpi», perlomeno non l’intero territorio alpino. Uno sguardo alle cartine austriache di analisi territoriale mostra, ad esempio, che in Austria l’area alpina presenta lo stesso grado di urbanizzazione e la stessa struttura economica del restante territorio non alpino. Anche la periferialità non è una specificità alpina. Tuttavia, in nessun altro luogo vi sono differenze così grandi in linea d’aria come nelle Alpi. Talvolta mondi interi separano valli adiacenti.
Non sono dunque le Alpi in generale a essere uno spazio periferico, ma all’interno delle Alpi, come nella maggior parte dei paesaggi europei, vi sono aree periferiche. In altre parole, possiamo dire che le Alpi possiamo ritrovarle ovunque.

Cambiamento climatico come opportunità?
I trend negativi in atto nelle aree periferiche - di cui appunto parliamo - sono ben noti: l’invecchiamento della popolazione residente unito a un livello d’istruzione sempre più basso e a una scarsa mobilità. Il desiderio di mantenere ovunque gli attuali standard di approvvigionamento porta a chiedersi inevitabilmente quale sia il rapporto tra i costi e i benefici. I servizi pubblici e i rifornimenti mobili in strutture insediative sparse comportano costi esorbitanti, poiché per la realizzazione di un’infrastruttura stradale e di trasporto in una zona caratterizzata dalla dispersione di casette unifamiliari si spende il doppio rispetto alle zone di pianura più densamente edificate. Enormi sono le differenze nei costi di trasporto per i servizi di tipo sociale, come gli autobus per gli scolari, l’assistenza domiciliare o la consegna dei pasti, che, in presenza di una forte dispersione degli insediamenti, possono essere anche dieci volte superiori.
La tesi spesso ripetuta, secondo cui il volontariato attenua le spese e contribuisce alla coesione sociale, trova sinora scarse prove empiriche. Le «valute regionali», attualmente sperimentate in varie zone soprattutto extralpine, offrono un approccio interessante anche in periferia. Tuttavia, esse sono attuabili solo in sistemi chiusi e la prestazione richiesta deve essere disponibile all’interno del territorio stesso, cosa che spesso, proprio nelle aree periferiche, non accade.
Molte aree alpine periferiche vedono nel cambiamento climatico una nuova opportunità. Si può pensare sia al turismo dedicato al benessere sia alla rivalutazione di mete alternative quando nel sud d’Europa le temperature sono troppo elevate. A questo proposito vengono poste le stesse questioni riguardo ai limiti, come per qualsiasi sviluppo turistico: un’economia monostrutturale è maggiormente soggetta a crisi, è poco sostenibile e il turismo non può rappresentare la soluzione a tutti i problemi strutturali delle aree periferiche.
Anche se questo è ancora un tabù, a medio termine, in alcune zone, la società non potrà più sottrarsi alla dismissione di infrastrutture. Per la sopravvivenza nelle aree marginali sarà decisivo sapere come verranno prese le decisioni, quali servizi verranno eliminati per primi e se si riuscirà effettivamente a garantire la sostenibilità sociale di determinate dismissioni, come richiesto sempre più e da più parti.

Il culmine di una montagna di problemi
Le Alpi, come altri grandi spazi, hanno le loro peculiarità. Una di queste è l’inasprimento delle tendenze e dei problemi generali, creati dallo stato della natura. Le sensibili vette del Continente rappresentano quindi anche il culmine di una montagna di problemi. Proprio per questa ragione, le Alpi assumono da un lato una funzione di modello per l’Europa e dall’altro lo sviluppo del territorio circostante ha forti effetti diretti su questa complessa catena montuosa. Werner Bätzing nel suo libro «Le Alpi. Storia e futuro di un paesaggio rurale europeo» spiega che, data la stretta interdipendenza funzionale tra Alpi, Europa e mondo, i problemi non possono essere risolti solo nel “piccolo” delle Alpi.
Per uno sviluppo sostenibile delle Alpi occorrono quindi condizioni sostenibili a livello sia europeo che globale. Naturalmente questo costa. Ci vogliono finanziamenti adeguati per soluzioni innovative che non solo interessino le generazioni a venire, ma che consentano loro di partecipare già ora al processo decisionale. Ci vogliono soldi anche per un ritiro ordinato, ma in compenso occorre meno denaro per «more of the same», cioè l’espansione acritica.

Cooperazioni oltre i confini
La formazione di associazioni volontarie di piccole regioni può incentivare la creatività locale. Per l’adempimento di criteri di sostenibilità per le iniziative bottom-up, le piccole regioni dovrebbero ottenere un sostegno finanziario dai paesi. Occorrono strategie e misure che consentano (nuovamente) agli abitanti di difendere e realizzare i propri interessi con senso di responsabilità e autodeterminazione.
Comunque, per il futuro delle Alpi è necessario guardare oltre il proprio orticello. Occorrono cooperazioni sia all’interno del territorio alpino, attraverso importanti reti come Alleanza nelle Alpi o le Perle alpine, sia a livello intersettoriale sia con altre aree periferiche d’Europa. Si intendono non solo le cooperazioni delle aree montane, cioè delle Alpi insieme ai Carpazi e alle Alpi Dinariche con il resto d’Europa, ma anche le cooperazioni con altri grandi spazi che presentino zone periferiche.
Attualmente si discute se una cooperazione con le aree marginali sia proficua per le Alpi. La strategia pensata per il territorio alpino, analogamente alla strategia per il Mar Baltico e l’area del Danubio (vedi a pagina 19), di per sé non è una cattiva idea. Dev’essere però chiaro che non abbiamo bisogno di discussioni timorose, ma di confronti visionari e fiduciosi in se stessi, in quanto realtà alpine e periferiche, e nel futuro.

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Nuovi stimoli per le aree montane povere di strutture
Ricette per la soluzione dei problemi delle aree periferiche non ce ne sono, come è apparso evidente al Convegno annuale della CIPRA «Le Alpi in mutamento - Aree periferiche tra abbandono e speranza», tenutosi a Semmering (A) dal 14 al 16 ottobre 2010. Le condizioni e le esigenze delle singole regioni del territorio alpino sono così disparate che occorrono molte modalità di approccio differenti.
Il convegno ha anche evidenziato che i responsabili politici stanno compiendo solo i primi passi verso la comprensione dei problemi che le aree periferiche alpine devono affrontare. Occorre uno spazio di dibattito e di azione per favorire uno sviluppo sostenibile e avanzato delle aree rurali ai margini delle Alpi. La CIPRA intende continuare ad affrontare questa tematica tanto importante per il territorio. Uno degli obiettivi fondamentali consiste nell’elaborazione di una visione 2030 che consenta di individuare le possibili prospettive future per le aree montane strutturalmente deboli.
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